La Dipendenza da gioco Salerno

Dal momento in cui l’individuo effettua la sua puntata tutto ciò che di costruttivo esiste nel gioco, il divertimento, la competizione sana, lo svago si perde nella brama, sempre crescente nel soggetto, che la fortuna o il calcolo siano dalla sua parte.

Assistiamo così, all’insorgere di contraddizioni tanto evidenti quanto inevitabili: si passa dalla considerazione del gioco quale potenza salvifica “…che la Madonna l’aiuti la padrona nostra […] aiutala Signore…”, alla cristallizzazione di una consapevolezza megalomane “Oh, sento dentro di me un presentimento che non può non realizzarsi!”; da uno stato, dunque, di completa negazione del Caso “Senti come parla a vanvera! Lo so io quello che faccio!” ad un abbandono totale alla sorte “…ma ben presto abbandonavo i calcoli e riprendevo a puntare a casaccio, quasi senza rendermi conto di quel che facevo…”. Tutto questo in preda ad un profondo stato di alienazione “…da questo momento in poi non ricordo né più l’ordine delle puntate né il calcolo delle vincite. Ricordo soltanto, come in un sogno…” (Dostoevskij, 1867).

Dalla fusione di queste condizioni di megalomania e di alienazione appena descritte spesso si giunge a risvolti tragici. Se non vi è, infatti, una presa di coscienza tempestiva del problema da parte del giocatore o di chi lo circonda, la perdita di tutti i beni, materiali ed affettivi, può condurre ad una soluzione estrema che vede il trionfo della megalomania. Il giocatore d’azzardo patologico, dunque, sfida il caso e la vita, si rifiuta di rendersi schiavo di qualsiasi cosa, rendendosi schiavo di questa stessa idea, e si allontana da tutto ciò che non è autodistruzione: dal lavoro, dalla famiglia… L’unica esigenza diviene quella di sentire il brivido della competizione con l’ignoto, di sentirsi! Una megalomania che, ben presto, però, intrappola l’individuo nel vortice della sua stessa agognata libertà attraverso l’incapacità di resistere alla passione, al desiderio, alla certezza del futuro: “Domani, domani tutto finirà”. Un profilo, questo, che oggi i clinici riscontrano sempre più frequentemente nei loro studi e che sempre di più distrugge persone e famiglie.

Fino ad ora l’ultima spiaggia era stata riservata alla Psicologia del profondo, alla quale ci si rivolge dopo aver perso quasi ogni speranza, dopo aver consultato medici, amici, ciarlatani... Questa è la consapevolezza acquisita da un lavoro impegnativo e costante con persone distrutte dal gioco d’azzardo, con cui sono entrata a contatto quotidianamente nella mia esperienza.

Farmaci, terapie proibizioniste e quant’altro sono le soluzioni offerte a questi individui che hanno rivolto le loro richieste d’aiuto ovunque, prima di considerare la Psicologia una soluzione adeguata alle loro necessità.

Un ragazzo di ventiquattro anni si era rivolto a me e aveva deciso di rinunciare all’aiuto medico dopo che uno psichiatra gli aveva preannunciato di dover lasciare studio, lavoro e qualsiasi altra attività che richiedeva concentrazione per almeno due anni a causa del farmaco prescrittogli che, appunto, gli avrebbe impedito di condurre una vita normale fino alla fine della sua somministrazione. Di fronte a tali scempi, ascoltare le storie e le esperienze di questi individui, mi ha consentito di prendere coscienza di un particolare fondamentale: non vi sono condizioni di vita neppure simili che accomunano questi soggetti. Come possono, dunque, le scienze bio-mediche comprendere fino in fondo una sofferenza di natura psichica prescindendo da queste variabili specificatamente individuali?

Con il pregnante scopo di portare sollievo a chi, nella sua vita, ha perso ogni scopo, mi sento di dire che un buon percorso interiore può aiutare a prendere consapevolezza dei propri limiti e a decidere di smettere. Fondamentale, in questo caso, l’aiuto di una rete, di familiari e amici che hanno sperimentato il disagio e che si interrogano su come aiutare la persona amata.

Dott.ssa Erica Carbone
Psicologa Psicoterapeuta - Salerno


Psicologa Salerno

Psicologa Psicoterapeuta a Salerno
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