In un’epoca in cui l’ansia generalizzata di avere un corpo efficiente e in linea con le esigenze che la società impone, sempre più spesso si dimentica che proprio questo corpo, non a caso da sempre spiritualmente definito il tempio dell’anima, resta comunque un elemento imprescindibile dalla mente che gli appartiene. Questo allontanamento dell’attenzione collettiva dall’importanza che la mente riveste nella nostra quotidianità trasforma la percezione di sé in qualcosa di puramente edonistico che si può plasmare, migliorare e cambiare a proprio piacimento, senza considerazione di ciò che lo ha reso tale.
Ci troviamo nel secolo in cui l’uomo pensa e agisce come se tutto possa essere controllato e gestito: la genetica, la felicità, la vita… Diversi sono i comportamenti che possono essere considerati un po’ esempi di questa scissione mente corpo, un po’ alla base di questo desiderio di onnipotenza dell’individuo. È il caso delle diete alimentari che nell’ultimo secolo hanno avuto un grande successo e che hanno permesso il nascere e lo specializzarsi di nuove scienze il cui obiettivo principale è semplicemente uno: perdere peso! Ma cosa ti ha spinto ad ingrassare? Cosa c’è alla base dell’insostenibile impulso a mangiare? O anche: perché vuoi dimagrire? Forse quei chili di troppo non sono poi così male. Prestare, dunque, attenzione unicamente al risultato formale, al peso, al corpo e considerare sempre meno la frustrazione e i meccanismi di compenso che la mente, di fronte a tale mortificazione, mette in atto. È, infatti, contro natura reprimere l’istinto di mangiare. La fame ti permette di capire che per sopravvivere hai bisogno di nutrirti. Eppure la dieta senza se e senza ma non ascolta. Ci troviamo di fronte al bisogno di raggiungere (o far raggiungere) meri obiettivi di felicità costringendo a scindere la mente dal corpo, sacrificandolo e privandolo del benessere che per natura necessita.
Avviene spesso, quindi, che si rincorre un benessere fisico immaginario e idealizzato che mai riuscirà a trovare concretezza perché non considerato nella sua interezza.
Questo atteggiamento, a tratti estremamente superficiale e paradossale, non va, però, considerato isolatamente. Esso va visto un po’ come figlio del nostro tempo, dove la sofferenza individuale non è più chiara e definibile ma si manifesta in modo sempre più complesso. La consapevolezza da sola già può esserci di grande aiuto nel tentativo di modificare profondamente i nostri usi. È questo l’obiettivo che la psicoterapia si pone: creare una consapevolezza su quelli che sono i comportamenti automatici di tutti i giorni che ostacolano quel benessere e quella felicità che, in fin dei conti, non è poi così difficile da raggiungere.
Dott.ssa Erica Carbone
Psicologa Psicoterapeuta - Salerno