Se esiste una tematica di cui, oggi, si teme affrontare le argomentazioni e diventa immediatamente motivo di giudizio e di conflitto è di certo quella relativa ai disagi legati all’identità e all’orientamento sessuale.
Le problematiche che hanno dovuto gestire omosessuali e transessuali in passato in società hanno condotto oggi a non poter affrontare più l’argomento liberamente, con la paura che, dal confronto, emergano tratti omofobici o cose simili.
Questa presa di posizione ha portato ad una difficoltà, da parte di persone con disagi legati alla loro identità e al loro orientamento sessuale, che li porta ad inibirsi o al non prendere in considerazione il proprio malessere, costringendosi a brancolare nel dubbio e nell’angoscia senza nome.
La realtà è che, col desiderio di non fare del male a queste persone e di mostrarsi aperti e privi di pregiudizi, nessuno si prende carico di ciò che le persone e le famiglie vivono.
Sicuramente l’apertura mentale degli ultimi anni verso questi argomenti sta aiutando ma spesso diviene anche fonte di confusione e di superficializzazione dell’argomento stesso.
Proviamo a metterci nei panni di una persona che non si riconosce nel proprio corpo, che si sente chiamare con un nome che non lo identifica e che attira inevitabili sguardi (a volte non è immediato il riconoscimento del genere sessuale di chi abbiamo di fronte) nel momento in cui cerca di esprimere fisicamente il suo sentirsi.
Discorso simile riguarda l’orientamento sessuale; in un primo momento la sensazione del sentirsi sbagliati è forte. I rifiuti in seguito a corteggiamenti con persone dello stesso sesso si amplificano e mentre dovrebbero essere considerati come semplicemente un mancata corresponsione, essi vengono attribuiti al proprio orientamento (spesso magari è davvero così) creando un vissuto di malessere che distoglie l’attenzione da molte altre cose, lasciando solo il proprio senso di non accettazione.
Il malessere diventa notevole e l’aiuto di un professionista che prova a dare un senso a tutto questo il più delle volte risulta indispensabile.
Mi sono resa conto di questa stato un giorno che mi giunse una mail di un ragazzo omosessuale che si lamentava del fatto che alcuni miei colleghi non avessero preso in considerazione la sua richiesta d’aiuto in quanto partivano dal presupposto che il malessere legato all’orientamento sessuale non era giustificato e lo tranquillizzavano, spingendolo semplicemente a normalizzare il suo stato. Purtroppo anche i miei colleghi, mossi da opinioni personali, tendono a schivare il problema e a non affrontarlo, sminuendolo. Quello che emerse dai colloqui con questo ragazzo furono tutta una serie di difficoltà nel rapportarsi con la sua famiglia, sensi di colpa nel mostrare il suo sentire e un rapporto disastroso con le relazioni principali. Come è evidente il malessere non era legato all’omosessualità di per sé ma a tutto ciò che era attorno alla persona stessa. Questo ragazzo sentiva un magone che, limitarlo all’orientamento sessuale, lo stava portando al ritiro sociale.
Ciò che emerge è che quello che un tempo era un tabù di espressione oggi ha cambiato forma ma è rimasto tutto sommato ugualmente un tabù. Si punta il dito contro i genitori che hanno difficoltà ad accettare l’identità o l’orientamento sessuale del figlio ma non è la mancanza di confronto che porta ad un’accettazione. Ad oggi mi meraviglierebbe maggiormente un genitore che, saputa una notizia del genere, non mostri alcun tipo di turbamento.
Vivere la propria identità e/o il proprio orientamento sessuale serenamente significa darsi anche la possibilità di parlarne e di affrontare paure e malesseri ad essi legati.
Quando il malessere ci ingombra e ci blocca allora è il caso di rivolgersi ad uno specialista che potrà accompagnare il paziente ad una migliore consapevolezza e benessere.
Dott.ssa Erica Carbone
Psicologa Psicoterapeuta - Salerno